How great is the pain I feel when faced with the cruel murder of this boy. A multiple and multifaceted pain, for the life broken, first of all, with such cruelty and indifference, for his family catapulted into an abyss of pain and impotence from which it is not easy to climb back out. I also feel pain, however, for those kids whose violence, hatred, indifference has made them similar to monsters, indeed, worse, and for their families who are certainly shocked by the massive brutality of their blood.
Let’s not engage in rhetoric, it’s not enough to say that it’s the fault of this or that, of the family, of the school, playing buck-passing in a situation in which no one is able to take control of the reins… we are all guilty, it’s easy to say it, but leave time which he finds, since we did not hold the weapon. Saying that we are all guilty is like saying that there is no one guilty, but there are murderers and they are guilty.
We are not all guilty, but we are all responsible – families, schools, society – responsible because it is responsibility that we do not want to name and responsibility is not highlighted in the moment of the crime and the blame that must fall on the person who commits it, but it is revealed in everyday life, in small and large choices, in omissions, in silences, in the void into which we have immersed our lives, in individualism, in the inability to give a name to the things and gestures and mental forms that we contribute to cultivate with our indifferent silence.
Responsibility collapses in the void of meaning of people who don’t talk to each other and don’t listen to each other, it sinks into individual interest and the pantomime that everyone plays by changing masks whenever it suits them, it disappears in the ignominious care only for oneself and in the distraction towards the life of the other who simply ceases to exist in our lucid madness.
Indifference is in missed glances and in those that wink at the power that can only be such in the destruction of the other. A power that, irresponsibly, we feed on our discomfort instead of our innocence and that we acclaim and propagate in the shrill cries of an inability that we don’t want to show but which is evident: we don’t know how to live with each other… we don’t know how to live.

Quanto è grande il dolore che provo dinanzi al crudele assassinio di questo ragazzo. Un dolore molteplice e multiforme, per la vita spezzata, prima di tutto, con tale crudeltà e indifferenza, per la sua famiglia catapultata in un abisso di dolore e impotenza dal quale risalire non è facile. Provo anche dolore, però, per quei ragazzi la cui violenza, odio, indifferenza, li ha resi simili a mostri, anzi, peggiori e per le loro famiglie certamente sconvolte dall’ efferatezza massiva del sangue del loro sangue.
Non facciamo retorica, non basta dire che è colpa di questo o di quello, della famiglia, della scuola giocando a scaricabarile in una situazione di cui nessuno riesce a prendere in pugno le redini… siamo tutti colpevoli, è facile dirlo, ma lascia il tempo che trova, poiché non noi abbiamo impugnato l’arma. Dire che siamo tutti colpevoli è come asserire che non vi è nessun colpevole , ma gli assassini ci sono e loro sì che sono colpevoli.
Non siamo tutti colpevoli, ma tutti siamo responsabili -famiglie, scuola, società- responsabili perché è la responsabilità quella che non vogliamo nominare e la responsabilità non si evidenzia nel momento del crimine e della colpa che deve cadere su chi il gesto lo compie, ma si palesa nel quotidiano, nelle piccole e grandi scelte, nelle omissioni, nei silenzi, nel vuoto in cui abbiamo calato le nostre vite, nell’ individualismo, nell’incapacità di dare un nome alle cose e ai gesti e alle forme mentali che contribuiamo a coltivare con il nostro silenzio indifferente.
La responsabilità crolla nel vuoto di senso di persone che non si parlano e non si ascoltano, sprofonda nell’interesse individuale e nella pantomima che ciascuno recita cambiando maschera ogni volta che faccia comodo, scompare nell’ ignominiosa cura solo di sé e nella distrazione verso la vita dell’altro che semplicemente smette di esistere nella nostra lucida follia.
L’indifferenza è negli sguardi mancati e in quelli che ammiccano al potere che può essere tale solo nella distruzione dell’altro. Un potere che, irresponsabilmente, nutriamo del nostro disagio invece che della nostra innocenza e che acclamiamo e propagandiamo nelle urla stridule di una incapacità che non vorremmo mostrare ma che è evidente: non sappiamo vivere con l’altro… non sappiamo vivere.