Anna Di Fresco recensisce “Ali per volare”

“Ali per volare” di Loredana De Vita

“Mai lo avrei sospettato, mai avrei pensato che il velo della mia vita potesse essere improvvisamente squarciato dall’ignoto e incontrollabile destino che mi si è aperto dentro.”

 Loredana De Vita con il volume “Ali per volare” Guida editori, insegna ad amare la vita traghettando il lettore nell’ignoto di quello che, in questo caso, fa d’uopo definire  “viaggio”, e che di fatto narra con spiccata maestria la malattia come evento e scoperta.  

Un’opera, i cui proventi saranno devoluti a favore della ricerca contro il cancro ovarico, che, a parere di chi scrive, la elegge scrittrice degli ultimi, degli umili, di coloro i quali si trovano d’improvviso ad essere annoverati tra i sofferenti, i malati, i quasi colpevoli del male subito. Sottoposti d’improvviso al giudizio implacabile dei più i quali riservano i peggiori pietismi,  di fatto inutili, alla psiche come all’animo di chi combatte.

La De Vita grida al modo affidandosi alla luna, invocandola, come si invoca il paradiso di fronte alla disperazione. Si lascia andare alla carezza dei cari che supportano e soffrono, in un circuito di empatia senza tempo. Un sentire insieme che porta a condividere, odori, sapori, sensazioni e frustrazioni, del caro afflitto da qualcosa di intestino ed implosivo, che ammorba il corpo e l’anima. Leggendo queste pagine ho sentito il bisogno di affidarmi all’immagine che Pitagora richiamava, inquadrando nel corpo l’aspetto impeditivo dell’anima che se libera, attraversa le epoche, rompe i muri, stravolge convenzioni sociali. Un’arte, quella della trasmigrazione dell’anima a livello culturale, alla quale pare essersi affidata la De Vita in continuo dialogo con se stessa e con quella cultura che la accompagna e le dà forza di fronte alla fragilità. Questo viaggio in divenire si conclude con una carezza e un insegnamento che educa con gentilezza, al sorriso, uno libero dalle forzature di un quotidiano, altrimenti, senza sostanza.

Eppure, non mi sono abbattuta. Una sorte di fatalismo, forse, ma non di rassegnazione, mi ha consentito di non perdere di vista tutto quello che avevo scoperto in questo interminabile tempo di privazione e sofferenza. Il sorriso, quello che non si è mai spento sul mio volto, si è trasformato in comicità. Ridere era necessario, era una risorsa per dimostrarsi più forti delle nuove vicissitudini. Ci sono riuscita.”

Anna Di Fresco

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