The fragility of the cancer patient (or of any serious disease) is never a loss or a defeat, but a discovery of that latent and often underestimated humanity which, deprived of its voice, often makes people arrogant, whether they are sick or no.
I call my cancer “little monster” not because it feels “alien”, but precisely because it is part of me, but it’s not me, it’s not, better to say, all that I am.
Cancer is like a new guest who accompanies me in my daily life, a guest to whom we owe respect and with whom we must live giving meaning to this coexistence, so that it does not make us lose the sense of who we are and what we believe in.
Each person with cancer faces his disease according to his sensitivity, life experience, personality. No way is right or wrong as long as no one claims to have the key to everything, as long as no one lets himself be alienated from his life and his illness by those people who, sick or not, always tend to place themselves above, thus demonstrating that they are not having understood anything either about the disease or about oneself in the disease.
I don’t like the language of war or that of power, the disease that is in me simply accompanies me often marking the time and pace of a new, different, not easy path in which everything remains to be discovered as long as I don’t stop being myself.
If it is important to remain oneself, it is even more important to be self-aware and to work, without anger or arrogance, so that one’s condition may not be an angry obstacle against the lives of others, but a tool that supports research so that suffering of the newspaper can be spared to those who will come after me.
It’s not a question of fighting, but of believing, of trusting that nothing is meaningless and that discovering the dimension of one’s own fragility not only doesn’t change the person you are, but can make you better and more real.
No cancer patient should feel dispossessed of his life or unable to live his illness due to the prevalence of his own fragility. Frailty is a resource and each patient, in his or her fragility, is a voice and a resource for those who know how to listen.
There are no first class in sickness, there is the pain of those who suffer and the hope that this pain can build love and hope.
La fragilità del malato di cancro (o di qualsiasi malattia grave) non è mai una perdita o una sconfitta, ma una scoperta di quell’umanità latente e spesso sottovalutata che, privata della sua voce, rende spesso le persone arroganti, che siano malate oppure no.
Io chiamo il mio cancro “mostriciattolo” non perché lo senta “alieno”, ma proprio perché è parte di me, ma non sono io, non è, per meglio dire, tutto ciò che io sono.
Il cancro è come un nuovo ospite che mi affianca nel quotidiano, un ospite cui si deve rispetto e con il quale bisogna convivere dando un significato a tale convivenza, affinché essa non faccia smarrire il senso di ciò che siamo e di ciò in cui crediamo.
Ciascuna persona malata di cancro affronta la sua malattia secondo la propria sensibilità, esperienza di vita, personalità. Nessun modo è giusto o sbagliato purché nessuno pretenda di avere la chiave di ogni cosa, purché nessuno si lasci estraniare dalla propria vita e dalla propria malattia da quelle persone che, malate o meno, tendono sempre a porsi al di sopra dimostrando, così, di non aver capito niente nè della malattia né di se stesse nella malattia.
Non amo il linguaggio bellico né quello del potere, la malattia che è in me semplicemente mi accompagna spesso segnando il tempo e il passo di un percorso nuovo, diverso, non facile in cui tutto resta da scoprire purché io non smetta di essere me stessa.
Se è importante restare se stessi, lo è ancora di più essere consapevoli di sé e adoperarsi, senza rabbia né arroganza, affinché la propria condizione possa non essere un intralcio rabbioso contro la vita degli altri, ma uno strumento che sostenga la ricerca affinché le sofferenze del quotidiano possano essere risparmiate a chi verrà dopo di me.
Non si tratta di lottare, ma di credere, di avere fiducia che nessuna cosa sia priva di senso e che scoprire la dimensione della propria fragilità non solo non cambia la persona che si è, ma può renderla migliore e più vera.
Nessun malato di cancro deve sentirsi spossessato della sua vita o incapace di vivere la propria malattia per il prevalere della propria fragilità. La fragilità è una risorsa e ciascun malato, nella sua fragilità, è voce e risorsa per chi sa ascoltare.
Non ci sono primi della classe nella malattia, c’è il dolore di chi soffre e la speranza che tale dolore possa costruire amore e speranza.