Sometimes you don’t have the time to think about the thought of yourself that this has already turned into something else. You are no longer what you were, nor are you what you will be, you are what you are, but even in that instant you are constantly becoming.
A nothing, then, is enough to generate bewilderment and, if one is not firm enough in one’s ideas (for profound or contingent reasons), the easier it is to lose one’s course and feel lost.
You go through moments of joy and tragedy in life, often there is no balance between them and just as often one risks prevailing over the other by not allowing self-awareness to acquire a real and concrete, complete and complete form of the self-image that we wanted to build.
After all, no one can be (or should) be the image of himself since one should be totally oneself in truth and nakedness of mind and heart.
Self-thinking should never cross the border into fiction nor should it ever build imaginary cities and regions tailored to one’s exclusive ego.
The thought of oneself is transformed if it enters into dialogue, if it knowingly and consciously lives its own space of evolution in communion with the thought of the other to whom it does not submit, but with whom it confronts itself in order to then choose.
A thought of self that evolves only in the dimension of the self is a thought doomed to failure since every closure on oneself is doomed to failure as no one simply “happens”, but each one “lives” because he “chooses” in a reality of confrontation, of the word that listens and narrates, of silence that welcomes and shares.
Thought of oneself, which has its own voice and its own story to tell, also has a plural voice which cannot get lost in the infinite since it is in the finite that it finds the resources and reasons for being more than just existing.

Talvolta non si ha il tempo di pensare al pensiero di sé che questo si è già trasformato in altro. Non sei più ciò che eri, né sei ciò che sarai, sei quel che sei, ma anche in quell’istante sei in continuo divenire.
Basta un nulla, allora, per generare smarrimento e, se non si è saldi abbastanza nelle proprie idee (per ragioni profonde o contingenti), più facile è smarrire la rotta e sentirsi persi.
Si attraversano nella vita momenti di gioia e di tragedia, spesso non vi è equilibrio tra essi e altrettanto spesso gli uni rischiano di prevalere sugli altri non consentendo alla consapevolezza di sé di acquisire una forma reale e concreta, completa e compiuta dell’immagine di sé che si è voluto costruire.
In fondo, nessuno può essere (o dovrebbe) l’immagine di sé stesso poiché bisognerebbe essere totalmente sé stessi in verità e nudità di mente e di cuore.
Il pensiero di sé non dovrebbe mai valicare il confine della finzione né mai dovrebbe costruire città e regioni immaginarie a misura del proprio esclusivo ego.
Il pensiero di sé si trasforma se entra in dialogo, se scientemente e consapevolmente vive il proprio spazio di evoluzione in comunione con il pensiero dell’altro al quale non si sottomette, ma con il quale si confronta per poi scegliere.
Un pensiero di sé che evolva solo nella dimensione del sé, è un pensiero destinato al fallimento poiché ogni chiusura su sé stessi è destinata all’insuccesso in quanto nessuno semplicemente “accade”, ma ciascuno “vive” perché “sceglie” in una realtà di confronto, di parola che ascolta e narra, di silenzio che accoglie e condivide.
Il pensiero di sé, che ha la sua voce e la sua storia da narrare, ha anche una voce plurale che non può perdersi nell’infinito poiché è nel finito che trova le risorse e le ragioni per essere più che esistere soltanto.