Yesterday I attended an interesting seminar, entitled “The digital child”, held by Professor Paolo Bonafede who, with simplicity and clarity, especially in the second part of his speech, focused on the essential points to pay attention to in order to be close to the child in a digitized society.
What seemed particularly interesting to me in the Bonafede seminar was the different voice compared to the usual ones, which only present themselves in negative terms with respect to the use of digital technology by children, proposing, instead, an empowerment of adults in accompanying the children in the use of digital tools.
That is, there is no need to ostracize digital; the world of children is born in a society that is already completely digitized, but children need to be educated “to, with, for the media”, underlines Bonafede. This, concretely, translates into being close to the children (“accompanying, alternating, self-regulating” explains Bonafede) so that a rebalancing can be implemented in the use of digital devices such as to prevent digital loneliness, the loss of real identity and the absence of perception of life beyond the media.
Children, digital natives, are unaware of the technique that allows the existence of digital technology (often not even many adults think about it), but they are fascinated by the speed with which they can move from one virtual world to another without this setting rules of maturation and growth.
The problem with this speed, I believe, lies precisely in the loss of content and meanings that go beyond the child’s often very brief moment of concentration, favoring a dystonia between being and appearing (ontophany) which gives rise to the dispersion of self and the lack of awareness of the non-virtual reality in which we all live.
In reality, this may also depend on the fascination that media culture arouses precisely because of its speed of transmission and the multiplicity of messages it assembles, often without the ability to discern and to be critical. A fascination of which, if children are automatically prisoners, adults have the opportunity to free themselves and implement educational methods more suited to the development and maturation of self-awareness in the child while, why not, one also finds one’s own.
We cannot do without digital, it is a great support and a resource for all needs, but it is necessary to understand its function as a tool which cannot and must not replace the role of the person.
Written rules may certainly be necessary to control and manage the appropriate use of digital, but it is also true that, upstream of every rule, there is an ethical principle which should regulate relationships and which should be invoked inside and outside the use of the digital.
Ieri ho seguito un interessante seminario, intitolato “Il bambino digitale”, tenuto dal professor Paolo Bonafede che, con semplicità e chiarezza, soprattutto nella seconda parte del suo intervento, ha messo a fuoco i punti essenziali cui prestare attenzione per essere accanto al bambino in una società digitalizzata.
Quello che mi è sembrato particolarmente interessante nel seminario di Bonafede è stata la voce diversa rispetto alle consuete, che si pongono solo in termini negativi rispetto all’uso del digitale da parte dei bambini, proponendo, invece, una responsabilizzazione degli adulti nell’accompagnare i bambini nell’uso degli strumenti digitali.
Non serve, cioè, ostracizzare il digitale; il mondo dei bambini nasce in una società che è già del tutto digitalizzata, ma occorre che i bambini siano educati “ai, con, per i media”, sottolinea Bonafede. Questo, concretamente, si traduce nell’essere accanto ai bambini (“accompagnare, alternare, autoregolamentare” spiega Bonafede) affinché si possa attuare un riequilibrio nell’uso dei dispositivi digitali tale da impedire la solitudine digitale, la perdita di identità reale e l’assenza di percezione della vita oltre i media.
I bambini, nativi digitali, non hanno consapevolezza della tecnica che consente l’esistenza del digitale (spesso neanche molti adulti ci pensano), ma sono affascinati dalla rapidità con cui possono muoversi da un mondo virtuale all’altro senza che questo fissi delle regole di maturazione e crescita.
Il problema di tale rapidità, io credo, sia proprio nella perdita di contenuto e significati che superino l’attimo, spesso brevissimo, di concentrazione del bambino favorendo una distonia tra l’essere e l’apparire (ontofania) da cui scaturisce la dispersione del sé e la mancanza di consapevolezza della realtà non virtuale in cui tutti viviamo.
In realtà, questo può dipendere anche dal fascino che la cultura mediatica suscita proprio per la sua rapidità di trasmissione e per la molteplicità dei messaggi che essa assembla, spesso, senza capacità di discernimento e spirito critico. Un fascino di cui, se i bambini sono automaticamente prigionieri, gli adulti hanno la possibilità di liberarsi e attuare metodologie educative più consone allo sviluppo e maturazione della consapevolezza di sé nel bambino mentre, perchè no, si ritrova anche la propria.
Non possiamo fare a meno del digitale, è un grande supporto e una risorsa per tutte le esigenze, ma è necessario comprendere la funzione di strumento che esso ha che non può e non deve sostituire il ruolo della persona.
Certamente possono essere necessarie regole scritte che controllino e gestiscano l’uso appropriato del digitale, ma è anche vero che, a monte di ogni regola, c’è un principio etico che dovrebbe regolare le relazioni e cui bisognerebbe appellarsi dentro e fuori l’uso del digitale.
“loss of content and meaning” wisely said. i agree.
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