The life of the patient is a strange life, always dependent although apparently independent.
Dependent from medicines, therapies, doctors, family, the gaze of the silly ones who consider your appearance without frills or trappings as you were an insult.
You also depend on your own body and its whims, mood, tiredness, malaise, the urgent need to switch off and rest.
By contrast, a sick person’s thinking is absolutely free.
A sick person who manages not to bend in on himself can travel with his mind to unknown places, travel inner routes never visited from which he can benefit from awareness and conscience.
In fact, that’s what everyone, healthy and sick, should be doing. The life of each person is like a book that never stops changing, growing, creating suggestions, telling about himself and the many unknown universes, not just physical ones, which fill the passing of the days with meaning.
It is a possibility that welcomes everyone and gives dignity to those who believed they had lost it (or had really done it). Well, this is the point, the dignity and honor with which each person must learn to recognize himself and others.
Who knows, perhaps it is easier for a sick person to have these thoughts because what binds him to life is the essential, only the essential, everything else is nothing.
The dignity of a sick person is no less important than that of a healthy person, on the contrary. The sick person, despite the necessary dependence (often a burden and an affront more for the sick person than for the healthy one), is a complete person in himself even in his incompleteness. He is a person who, in facing physical and psychological discomforts, determines a new turning point in his existence in that book of life that sometimes changes even at supersonic speed.
Recomposing dependence with inner freedom, reuniting them in harmony, is not always easy, there are aspects and experiences that clash with each other as if they were icebergs in the ocean of misunderstanding and fiction and loneliness or indifference in which the sick can often feel immersed.
Yet, if you want to give meaning to your life, there is nothing else to do, rely on the mild strength and enterprising courage of those who, while suffering, know how to create landscapes of conscious resistance and passionate freedom.
A sick person has his own darkness that accompanies him on his journey. The possibility of getting out of that darkness does not lie only in healing or in hope, but in the ability to re-enter himself to know and then experience and practice all that unrevealed silenced by the obligation of habits.
Illness, even the incurable one, is like the margin next to the lines of a book where one can write down new notes and facets of his own being; it is an open book in which each page turned brings closer to the conclusion of the narrative, but not to its end. In fact, that voice that is told freely and sincerely is not silent with the last word of the last page of the book of life, but continues in life and with the life that in any case bears its mark.
So it is, an endless book, a book that always changes, a book that has the aroma of eternity.
Not the body but the spirit is eternal.
La vita del malato è una vita strana, sempre in dipendenza sebbene apparentemente indipendente.
Dipendente dai farmaci, dalle terapie, dai medici, dalla famiglia, dallo sguardo degli insulsi che giudicano un insulto il tuo apparire per come sei, senza fronzoli né orpelli.
Si dipende anche dal proprio stesso corpo e dai suoi capricci, dall’umore, dalla stanchezza, dal malessere, dall’urgente bisogno di staccare la spina e riposare.
Per contrasto, il pensiero di un malato è assolutamente libero.
Un malato che riesca a non piegarsi su sé stesso può con la mente viaggiare in luoghi sconosciuti, percorrere rotte interiori mai visitate da cui trarre beneficio di consapevolezza e coscienza.
In realtà, è quello che dovrebbero fare tutti, sani e malati. La vita di ogni persona è come un libro che non smetta mai di cambiare, crescere, creare suggestioni, raccontare di sé e dei tanti universi sconosciuti, non solo fisici, che costellano di significato lo scorrere dei giorni.
È una possibilità che accoglie tutti e dona dignità a chi credeva di averla smarrita (o lo aveva fatto davvero). Ecco, è questo il punto, la dignità e l’onore con cui ciascuna persona deve imparare a riconoscere sé stessa e gli altri.
Chissà, forse per un malato è più semplice avere di questi pensieri poiché ciò che lo lega alla vita è l’essenziale, solo l’essenziale, tutto il resto è niente.
La dignità di un malato non è meno importante di quella di una persona sana, anzi. Il malato, nonostante la necessaria dipendenza (spesso un carico e un affronto più per la persona malata che per quella sana), è una persona completa in sé pur nella sua incompletezza. È una persona che, nell’affrontare disagi fisici e psicologici, determina una nuova svolta alla sua esistenza in quel libro della vita che cambia qualche volta anche a velocità supersonica.
Ricomporre la dipendenza con la libertà interiore, ricongiungerle in armonia, non è sempre facile, ci sono aspetti ed esperienze che cozzano tra loro come fossero iceberg nell’oceano di incomprensione e finzione e solitudine o indifferenza in cui spesso il malato può sentirsi immerso.
Eppure, se si vuole dare un significato al proprio vivere, non c’è altro da fare, affidarsi alla forza mite e al coraggio intraprendente di chi, mentre soffre, sa creare paesaggi di consapevole resistenza e appassionata libertà.
Un malato ha una sua oscurità che lo accompagna nel cammino. La possibilità di uscire da quell’oscurità non giace solo nella guarigione o nella speranza, quanto nell’abilità di rientrare dentro sé stesso per conoscere e poi sperimentare e praticare tutto quel non rivelato messo a tacere dall’obbligo delle consuetudini.
La malattia, anche quella incurabile, è come il margine accanto ai righi di un libro dove si può appuntare nuove note e sfaccettature del proprio essere; è un libro aperto in cui ogni pagina voltata avvicina alla conclusione della narrazione, ma non alla sua fine. Infatti, quella voce che si narra liberamente e con sincerità non tace con l’ultima parola dell’ultima pagina del libro della vita, ma prosegue nella vita e con la vita che in ogni caso ne porta il segno.
Ecco, un libro senza fine, un libro che cambia sempre, un libro che ha l’aroma dell’eternità.
Non il corpo ma lo spirito è eterno.