I love landscapes, marine ones as well as mountain ones, each different, each unique, but more I love those inner landscapes that learn to reveal themselves with simplicity and kindness, like caresses that in welcoming give all of themselves.
They are landscapes in which the beautiful and the ugly coexist but do not affront each other, instead they confront each other and in the dialogue often made up of silence and only looks, they summarize the essential and give it form and voice.
I love visible landscapes. In general, I always prefer those in which rocks or thick trees intersect the sweetness and hardness of one’s existence just as in the daily dance life offers to everyone and, I dare say, recommends us.
Even the desert is made more beautiful by its dunes and by the terrible wind that by moving the sand changes its appearance and structure night after night.
Finding your way around is never easy, but it is always a possibility.
So are the inner landscapes. In them nothing can ever be taken for granted and obvious, they are in continuous growth and maturation, in a perennial search for meaning and direction.
They are landscapes that change and also make people suffer, but perhaps it is precisely this mutability that makes them more human and understandable, since if perfection does not exist, it is also true that everyone is perfectible and the value of one’s perfectibility is not measured in individual and solipsistic conquest, but in the ability to share one’s own being as much as one’s doing.
Amo i paesaggi, quelli marini come quelli montani, ciascuno diverso, ciascuno unico, ma di più amo quei paesaggi interiori che imparano a rivelarsi con semplicità e gentilezza, come carezze che nell’accogliere donano tutto di se stesse.
Sono paesaggi in cui il bello e il brutto coesistono ma non si affrontano, si confrontano invece e nel dialogo spesso fatto anche di silenzio e di soli sguardi, compendiano l’essenziale e a esso danno forma e voce.
Amo i paesaggi visibili. In genere preferisco sempre quelli in cui rocce o alberi folti intersecano la dolcezza e la durezza del proprio esistere proprio come nella danza quotidiana la vita offre a ciascuno e, oserei dire, ci raccomanda.
Anche il deserto è reso più bello dalle sue dune e dal vento terribile che spostando la sabbia ne modifica l’aspetto e l’assetto notte dopo notte.
Orientarsi non è mai semplice, ma è sempre una possibilità.
Così sono i paesaggi interiori. In essi mai nulla può essere dato per scontato e ovvio, sono in continua crescita e maturazione, in perenne ricerca di senso e di direzione.
Sono paesaggi che mutano e fanno anche soffrire, ma forse è proprio questa mutevolezza che li rende più umani e comprensibili, poiché se la perfezione non esiste e anche vero che ciascuno è perfettibile e il valore della propria perfettibilità non si misura nella conquista individuale e solipsista, ma nella capacità di condivisione del proprio essere quanto del proprio fare.