Isabel Allende: L’isola sotto il mare

Ancora una volta la narrazione e la scrittura di Isabel Allende non tradisce le mie aspettative, anzi, in L’isola sotto il mare (Feltrinelli, 2009) il racconto assume il tono morbido ma tenace di un inarrestabile esercizio di controllo del dolore e delle delusioni che da particolari diventano universali e viceversa. La scrittura della Allende è ormai una scrittura matura che, pur conciliandosi con le leggende e gli spiriti, non perde mai di vista la storia reale, quella con la S maiuscola, quella che ha segnato e ancora segna i destini umani inglobati dagli interessi personali, dalle problematiche culturali, dai pregiudizi razziali. Sembra una storia senza fine, sempre pronta a ricominciare, poiché sarà così fino quando la relazione tra le persone e i popoli sarà determinata dal potere e dalla supremazia. Eppure, c’è una forza e un potere interiore capace di debellare qualsiasi forza esterna, è il potere della libertà.

La storia di Zarité, chiamata Tété, diviene, infatti, la narrazione storica della schiavitù, delle violenze e dei soprusi, dell’odio e della prevaricazione subite, ma anche il racconto di una libertà interiore che prende via via forma fino alla liberazione finale. Tété, fanciulla, adulta, anziana, attraversa non solo un’epoca storica di atroci sofferenze, ma il percorso per restare libera dentro di sé nonostante tutto. Tété è una donna forte che la violenza scuote, ma non distrugge e su questa forza lei continuerà a danzare le sue danze, a credere nei suoi erzuli, a diventare manifesto di coraggio e determinazione nonostante la sua sia una liberazione apparentemente silenziosa almeno rispetto al clamore e alla violenza delle ribellioni degli schiavi nelle piantagioni. Tété non è mai rassegnata, ma sempre in grado di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato anche quando farlo significherà l’allontanamento dal suo grande amore, Gambo. È questa la sua forza, questa la sua libertà.

La fine del ‘700 è un periodo denso di avvenimenti per la Storia, dalla Guerra di indipendenza americana alla Rivoluzione francese, all’avvento di Napoleone. Santo Domingo è una piccola colonia francese dove i bianchi torturano nelle piantagioni i loro schiavi riuscendo fin nel profondo a non percepirli come uomini e donne e bambini, ma come animali. Un’idea molto diffusa di superiorità che ancora oggi travolge e annienta il valore dell’umanità, una piaga che in forme diverse ancora colpisce con la sua forza giudicante e annichilente nell’ideale di una superiorità che non ha motivi razionali né irrazionali per esistere.

L’isola sotto il mare è il mondo sepolto dove giacciono gli schiavi massacrati, eppure, è forse anche il mondo nel quale seppelliamo le ingiustizie dovute all’ignoranza.

L’isola sotto il mare (Feltrinelli, 2009) di Isabel Allende è un inno alla consapevolezza, al coraggio, alla resistenza, nonostante le sue pagine siano intrise di sangue e di un dolore profondo cui non si deve dare nome se non nella consapevolezza responsabile di una umanità tradita cui restituire dignità e cui chiedere scusa. È un invito a sviluppare la capacità e il coraggio di riconoscere la giustizia, di ritrovare l’amore per l’altro, di restituire il rispetto mancato e invocare il perdono.

Once again, Isabel Allende’s narration and writing does not betray my expectations, indeed, in L’isola sotto il mare (Feltrinelli, 2009) the story takes on the soft but tenacious tone of an unstoppable exercise in controlling pain and disappointments that from details become universal and vice versa. Allende’s writing is now a mature writing that, while reconciling itself with legends and spirits, never loses sight of real history, the one with a capital H, the one that has marked and still marks the human destinies incorporated by personal interests, from cultural problems, from racial prejudices. It seems like a never ending story, always ready to start again, as it will be so fine when the relationship between people and peoples will be determined by power and supremacy. Yet, there is an inner strength and power capable of defeating any external force, it is the power of freedom. The story of Zarité, called Tété, becomes, in fact, the historical narrative of slavery, violence and abuse, of hatred and abuse suffered, but also the story of an inner freedom that gradually takes shape until the final liberation. Tete, a young girl, an adult, an elderly woman, goes through not only a historical era of atrocious suffering, but the path to remain free within herself despite everything. Tete is a strong woman that violence shakes, but does not destroy and on this strength she will continue to dance her dances, to believe in her erzuli, to become manifest of courage and determination despite her being an apparently silent liberation at least compared to the clamor. and the violence of slave rebellions on plantations. Tete is never resigned, but always able to discern what is right from what is wrong even when doing so will mean her estrangement from her great love, Gambo. This is her strength, this is her freedom. The end of the 1700s is a period full of events for history, from the American War of Independence to the French Revolution, to the advent of Napoleon. Santo Domingo is a small French colony where white people torture their slaves in the plantations, managing to perceive them not as men and women and children, but as animals. A very widespread idea of ​​superiority that still overwhelms and annihilates the value of humanity, a plague that still strikes in different forms with its judgmental and annihilating force in the ideal of a superiority that has no rational or irrational reasons for existing. The island under the sea is the buried world where massacred slaves lie, yet, perhaps it is also the world in which we bury injustices due to ignorance. L’isola sotto il mare (Feltrinelli, 2009) by Isabel Allende is a hymn to awareness, courage, resistance, despite the fact that its pages are steeped in blood and a deep pain which should not be named if not in responsible awareness of a betrayed humanity to which to restore dignity and to which to apologize. It is an invitation to develop the ability and the courage to recognize justice, to rediscover love for the other, to restore the lack of respect and invoke forgiveness.

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