27th January, Memory Day: Janusz Korczak

Memoriale allo Yad Vashem per Janusz Korczak e suoi bambini

These days, we often talk about Remembrance Day, it should be done every day, bearing in mind that there are memories destined to repeat themselves, and that in fact repeat themselves, even if we have proclaimed “Never again!”. I am referring to the Shoah, but above all to the hatred that made the Shoah possible and that today continues to pour out on the fragile earth, before which we continue to turn our gaze as it once was. My dear Alberta Levi Temin, told me not only of her personal and family experience, but of the need for every human being, of any ethnicity or religion, of any language or skin color, to acquire awareness and act according to conscience. This, still today, is missing; still today hatred is more rapid and frequent than love and acceptance; even today the human being is unable to dominate his own selfishness and eradicate the effects of propaganda against the other. This is not how justice is done to the Memory which has also become Memory of the hatred of the present. This is not how those stories are voiced that we will never know anything about. Today, I want to invite you to meet one of those voices, a cultured voice, a courageous voice, a voice that could have saved itself from extermination in the Treblinka camp, but who chose the consistency of his belief in children, mind you, not in faith, but in the children to whom he taught to speak without fear of death, that same death that did not find them unprepared and did not find them alone, because he, the teacher, the guide, remained beside them and assumed the responsibility in words and actions until at his last breath. I’m talking about Janusz Korczak, scholar and pedagogue who founded the Orphan’s House in the Warsaw ghetto teaching dignity for themselves to those children who would have been easy prey to despair and loneliness and who showed them the beauty of the right to live despite the humiliations to which he was subjected. When, finally, the orphanage was evacuated and the children transferred to concentration camps, Janusz Korczak invited them to get dressed up and march singing to probable and almost certain death. Dignity, dignity and the right to life, until the end. Janusz Korczak marched with his children, bound to them by the bond of respect and life, exactly what no one could snatch from him, not even in the final violation of their innocence. Here, a voice of courage despite the fear and certainty of violence and death. An example of dignity and respect, of humanity and justice, in that single embrace of love that kept them anointed in eternity. In those fields there were not only violated bodies, but stories and voices of dignity and redemption against the hatred and rottenness of a perverse and sick humanity. Here, the echo of those voices must reach us again as a memory and as a warning, but also as the courage to oppose the banality of evil. That simple evil in its daily life and ferocious in its forever, that evil that reaches us from those distant times, but also from the deep ocean in which today still a part of humanity sinks and dies.

To deepen the figure of Janusz Korczak as a pedagogue, I suggest reading the books by Dario Arkel, among which I loved very much “Ascoltare la luce: vita e pedagogia di Janusz Korczak” and soon I will start reading “Il bambino vitruviano. L’innovazione di Janusz Korczak”.

In questi giorni, si parla spesso di Giornata della Memoria, si dovrebbe farlo ogni giorno, tenendo presente che ci sono memorie destinate a ripetersi, e che di fatto si ripetono, anche se abbiamo proclamato “Mai più!”. Mi riferisco alla Shoah, ma soprattutto all’odio che ha reso possibile la Shoah e che oggi continua a riversarsi sui fragili della terra, dinanzi ai quali continuiamo a voltare lo sguardo come fu fatto una volta. La mia cara Alberta Levi Temin, mi raccontava non solo della sua esperienza personale e familiare, ma della necessità che ogni essere umano, di qualsiasi etnia o religione, di qualsiasi lingua o colore della pelle, acquisisse consapevolezza e agisse secondo coscienza. Questo, ancora oggi, manca; ancora oggi l’odio è più rapido e frequente dell’amore e dell’accoglienza; ancora oggi l’essere umano non è capace di dominare il proprio egoismo e debellare gli effetti della propaganda contro l’altro. Non è così che si rende giustizia alla Memoria che è diventata Memoria anche dell’odio del presente. Non è così che si dà voce a quelle storie di cui non sapremo mai nulla. Oggi, voglio invitare a conoscere una di quelle voci, una voce colta, una voce coraggiosa, una voce che avrebbe potuto salvarsi dallo sterminio nel campo di Treblinka, ma che scelse la coerenza del suo credo nei bambini, badate, non nella fede, ma nei bambini ai quali insegnò a parlare senza timore della morte, quella stessa morte che non li trovò impreparati e non li trovò soli, perché lui, il maestro, la guida, restò accanto a loro e se ne assunse la responsabilità in parole e azioni fino al suo ultimo respiro. Parlo di Janusz Korczak, studioso e pedagogo che fondò la Casa dell’Orfano nel ghetto di Varsavia insegnando la dignità per se stessi a quei bambini che sarebbero stati facile preda della disperazione e della solitudine e che mostrò loro la bellezza del diritto di vivere nonostante le umiliazioni cui si era sottoposti. Quando, infine, l’orfanotrofio fu evacuato e i bambini trasferiti nei campi di concentramento, Janusz Korczak li invitò a vestirsi di tutto punto e marciare cantando verso la morte probabile e quasi certa. Dignità, dignità e diritto alla vita, fino alla fine. Janusz Korczak marciò con i suoi bambini, vincolato a loro dal vincolo del rispetto e della vita, esattamente quello che nessuno riuscì a strappargli, neanche nella violazione finale della loro innocenza. Ecco, una voce di coraggio nonostante la paura e la certezza della violenza e della morte. Un esempio di dignità e rispetto, di umanità e giustizia, in quell’unico abbraccio di amore che li tenne untiti nell’eternità. In quei campi non ci furono solo corpi violati, ma storie e voci di dignità e riscatto contro l’odio e il marcio di una umanità perversa e malata. Ecco, l’eco di quelle voci deve raggiungerci ancora come memoria e come monito, ma anche come coraggio di opporsi alla banalità del male. Quel male semplice nel suo quotidiano e feroce nel suo per sempre, quel male che ci raggiunge da quei tempi lontani, ma anche dal profondo oceano nel quale oggi ancora una parte di umanità sprofonda e muore.

Per approfondire la figura di Janusz Korczak come pedagogo, suggerisco la lettura dei libri di Dario Arkel, tra i quali ho amato molto “Ascoltare la luce: vita e pedagogia di Janusz Korczak” e tra poco comincerò a leggere “Il bambino vitruviano. L’innovazione di Janusz Korczak”.

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